Cosa succede dopo un attacco di panico
Di solito, dopo l’attacco di panico seguono sempre accertamenti medici perché si ritiene che il malessere provato sia causato da un disturbo fisico. L’esito negativo degli esami medici mette il soggetto che ha vissuto l’attacco di panico di fronte ad una realtà spesso difficile da accettare: si tratta di un problema di natura psichica.
Dopo un attacco di panico si vive nella paura che il panico possa tornare. Si viene a creare un circolo vizioso (paura della paura), in cui i sintomi fisici e mentali si alimentano a vicenda. Si rimane così in trappola, senza trovare una soluzione. Per questo motivo, l’esperienza dell’attacco di panico è invalidante e può influenzare l’intera esistenza del paziente. La principale conseguenza degli attacchi di panico infatti è la tendenza ad evitare tutte le situazioni ritenute pericolose o ansiogene come tentativo di non ricadere nell’attacco di panico. Il paziente cercherà pertanto di evitare tutte quelle situazioni o persone che gli provocano ansia o malessere. Questa strategia rende la vita del paziente estremamente limitata: si evita di prendere l’aereo o l’ascensore, di frequentare luoghi affollati o aperti, di percorrere l’autostrada o di imboccare una galleria, di prendere la metro o altri mezzi pubblici e così via, fino ad arrivare, in alcuni casi, a non uscire più di casa. Tutto ciò può creare delle difficoltà nei rapporti familiari, di coppia, di amicizia e lavorativi.
Di solito le persone che soffrono di attacchi di panico hanno difficoltà a riconoscere le proprie emozioni e le sensazioni fisiche legate alle emozioni. Per questo motivo, la persona con disturbo di panico interpreta l’emozione e i suoi aspetti fisiologici come prova dell’esistenza di un pericolo. Questo modo di interpretare le sensazioni fisiologiche delle emozioni fa sì che le persone con disturbo di panico temano le proprie sensazioni fisiche. Anche per le sensazioni fisiologiche, pertanto, il soggetto con disturbo di panico utilizza, di solito, la strategia dell’evitamento: tenderà quindi ad evitare il consumo di quelle sostanze che possono essere eccitanti per l’organismo (come il caffè o il tè) e quelle attività che possono stimolare l’attivazione fisiologica dell’organismo (attività fisica, attività sessuale).
Nonostante tutte le precauzioni, il soggetto con disturbo di panico vive in uno stato di tensione e di irritabilità costante. L’evitamento non rassicura il paziente, anzi, a fronte di un beneficio momentaneo (placare l’ansia), a lungo termine l’evitamento contribuisce a mantenere il circolo vizioso che alimenta l’ansia perché la persona non si espone a situazioni che potrebbero rassicurarla circa le sue capacità di tollerare l’ansia senza cadere nell’attacco di panico. Le limitazioni della vita imposte dalla strategia dell’evitamento alimentano il vissuto di inadeguatezza e fragilità personale del paziente.